computer domestico;
il luogo dell’abitare non è l’alloggio. Soltanto una città può essere
abitata: ma non è possibile abitare la città se essa non si dispone
per l’abitare, e cioè non ‘dona’ luoghi. Il luogo è dove sostiamo; è
pausa – è analogo al silenzio in una partitura.Non si dà musica senza
silenzio. Il territorio post-metropolitano ignora il silenzio; non ci
permette di sostare, di ‘raccoglierci’ nell’abitare” (Massimo Cacciari,
Nomadi in prigione).
Si possono pensare ancora luoghi simbolici rigidamente separati,
edifici pesanti, (l’Ospedale, il Museo, la Scuola, il
Comune etc.), ancorati ad un’anacronistica rigidità, e alla pretesa di poter
costituire la misura dell’organizzazione della convivenza civile? Non
si dovrebbe cominciare a pensare e progettare, piuttosto, città
ordinate intorno a edifici ‘elastici’, polifunzionali e in permanente
relazione tra loro, capaci di rispondere ad esigenze più articolate e
immateriali delle persone?
La storia romana e i suoi lasciti, di cui come è noto siamo stati
parte non secondaria, è una risorsa che non valorizziamo
adeguatamente: avremo la capacità di usare i beni culturali non solo
per matrimoni (Casina vanvitelliana), o spettacoli, quando non li
lasciamo del tutto inutilizzati? Riusciremo mai a pensare e realizzare
istituzioni ed eventi permanenti (università o scuole di alta
formazione e specializzazione, iniziative di studio di prestigio
internazionale, relative appunto al nostro grande passato)?
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Bisogna essere consapevoli delle contraddizioni in cui siamo: viviamo
in una città macchina, funzionale, in non-città in cui
le persone intrecciano relazioni esclusivamente sulla base dei
reciproci interessi e del divertimento privato; e, insieme, non
possiamo che avere nostalgia (e da qui le sempre ritornanti mitologie
della polis) della città-grembo, e della città ricca di luoghi
simbolici, di comunità che stavano insieme intorno anche a valori,
significati, in cui la comunicazione non fosse ridotta a
informazione: “Dalla parte della mera informazione stanno oggi tutti
coloro che sostengono che culture, tradizioni, religioni non sono che
chiacchiere, o al più “poesia” buona per ornamenti, musei, gite del
week end. Dall’altra parte stanno coloro, invece, che ritengono
impossibile qualsiasi comunità svuotata del ‘rischio’ della
comunicazione, che abbia smarrito ogni rapporto con la forza simbolica
del suo linguaggio naturale” (Massimo Cacciari, Duemilauno).
Intervieni al dibattito
forum@ulixes.it
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Roma
i monaci guerrieri di shaolin
Di Marika Guerrini
E’ stato
chiaro dal primo momento, dal diffondersi del suono registrato, dalle
note singole, distanti, quando le luci rischiaravano la platea, il
sipario era chiuso e il suono pentatonico preparava al silenzio un
pubblico distratto, che sgranocchiava patatine sottratte al rumore
delle buste, all’attenzione delle maschere.
E’ stato chiaro sin da allora che quello non sarebbe stato uno
spettacolo qualunque, neppure speciale, di più. E così è stato, ieri,
al teatro Parioli, c’è stato molto di più, un non spettacolo, una
kermesse lontana dal comune mondo dello spettacolo, lontana dalla
radio, dalla televisione, dal cinema, forse vicina all’arte teatrale,
quella antica, desueta, l’origine, quella purificatrice.
“ Mistiche
forze dei monaci Shaolin”, questo recita la locandina ma non specifica
che, mistico, sta nella sua accezione originaria, anch’essa: iniziato
ai misteri. Da otto anni i monaci Shaolin o meglio di Shaolin,
località tempio nella provincia dello Henan, in Cina, otto anni,
dicevamo, che un esiguo numero di monaci, discepoli e maestri del
Buddhismo Zen nonché maestri di Kung Fu, portano in giro per il mondo
questa disciplina presupposto di tutte le arti marziali orientali. In
giro per il mondo vanno svelando, se pur minimamente, uno dei misteri
dell’uomo, la possibilità di supremazia dello spirito sulla materia,
dimostrando la possibilità dell’impossibile.
Alla
domanda giornalistica: perché questo svelare se pur minimo, la
risposta chiara di un monaco: perché la causa del Tibet, la sua
libertà, lo chiede.
Sono guerrieri i monaci di Shaolin, asceti-guerrieri, parole d’ordine:
concentrazione, consapevolezza, volontà, presenza di coscienza sempre,
compassione, sempre anch’essa.
Tutto questo si percepisce nell’osservarli, si percepisce la loro
rinuncia alla mondanità, la loro azione interiore prima esteriore poi,
tesa alla realizzazione dell’armonia tra terra e cielo. Questo loro
mondo fuoriesce da ogni più piccolo movimento, ogni gesto, ogni più
piccola postura che sia delle membra, del busto o dello sguardo. Si
percepisce nello schierarsi delle spade, nel roteare delle fruste,
nelle scansioni dei tamburi, nella stasi e nei silenzi così come
nell’urlo soffocato e deciso emesso per l’affermazione del Qi.
Cosa sia
il Qi, è quasi impossibile comprendere senza la consapevolezza di
forze sottili, appunto mistiche, misteriche, che attraversano l’uomo
senza risultare di per sé visibili nella materia ma evidenti dalla
loro azione su di essa. Il Qi è energia vitale, respiro, è il
sentiero, è mille altre cose.
Ma il Qi non può esprimersi senza il Gong. l’azione, la volontà
attuata, l’esercizio continuo, è il Gong che dà all’uomo la
possibilità di creare equilibrio armonico tra corpo, anima e spirito.
No, “Mistiche forze dei monaci Shaolin” non è uno spettacolo, se così
viene chiamato è per il nostro innato moto riduttivo dinanzi a ciò che
sfugge al materiale controllo. continua...
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