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pagina 2

gennaio 2006

Numero 2

immaginare, e quindi compatire, chi, in un viaggio per mare in simili condizioni, vede non metaforicamente annegare la propria esistenza e la speranza di un’altra vita.

Nelle relazioni effettive tra popoli ricchi e poveri, meno che mai, valgono le parabole evangeliche o la giustizia: e, tuttavia, noi, e lo dico senza ironia, che con rigore morale e delicatezza, discutiamo animatamente e a fondo, di embrioni e di feti, della difesa della vita dal concepimento fino alla morte naturale, di matrimoni gay e di coppie di fatto, non dovremmo estendere la coerenza assoluta tra principi etici e comportamenti cui ci piace anelare, ai giovani neri africani, e non, riservando maggiore attenzione e concrete iniziative alla loro speranza di vita mortificata nei loro come nei nostri paesi?


Téhéran e le menzogne dell’occidente

di Marika Guerrini


“...il dolore mi strazia il cuore, intenso, intatto, quando ricordo quel mattino del gennaio 1979. Un silenzio angosciante s’era abbattuto su Téhéran, come se la nostra capitale, a ferro e fuoco da mesi, stesse all’improvviso trattenendo il respiro...”.
Parole di Farah Diba Pahlavi, queste, parole di un’imperatrice, la Shahbanou, sposa dell’ultimo imperatore dell’Iran, dello Shah Mohammad Reza Pahlavi. Parole dell’ultima imperatrice a ventiquattro anni da allora, parole di poco fa, del 2003, ancora ora.
A pochi giorni da quel mattino, da quel 16 gennaio del ’79, dopo l’impero, dopo la liberazione dall’obbligo del chador, dopo le centinaia di borse di studio per Europa, Stati Uniti, denaro per gli studenti, perché apprendessero la modernità delle professioni, delle specializzazioni in ogni campo, dopo l’armamento di un potente esercito, l’avanzamento della tecnologia, dopo la ricerca d’una modernizzazione, comunque, anche malgrado le atrocità della Savak, uomini dei servizi, dopo il silenzio di quel mattino, a meno di trenta giorni, quel popolo del respiro trattenuto, inneggiò all’ortodossia.
In un mattino anch’esso, ma di febbraio, anno: lo stesso, Rubullah Khomeini, ayatollah, alto prelato del clero musulmano sciita, sarebbe sceso dalla scaletta dell’aereo che lo aveva portato in patria. Anni di esilio in Iraq, due soli mesi a Parigi, Khomeini, avanzò da quella scaletta, impettito, forte dell’occulto potere clericale, forte del capillare, annoso lavoro destabilizzante l’impero, quel lavoro partorito fuori dai patri confini, lontano, in occidente, da quegli stessi studenti cui il “regime” dello Shah elargiva borse di studio, quegli stessi che lamentandosi di mancata libertà di parola, di pericoli anche all’estero, agivano a loro piacimento partecipando a cortei politici d’ogni ideologia senza che accadesse nulla. Senza che comprendessero nulla. Forse.
Al tempo, gli Stati Uniti, “amici” dello Shah, per bocca di Turner allora direttore della CIA, così si espressero: Non avevamo previsto che un vecchio di 78 anni potesse mettere insieme così tante forze e trasformarle in una rivoluzione nazionale”.

 

Con Khomeini, la Repubblica Islamica dell’Iran, piccolo particolare tralasciato, un appellativo: Teocratica.
La Persia dei grandi imperi, degli Achemenidi, degli Arsacidi, dei Sasanidi, dei Safavidi, giù, giù fino ai Pahlavi, la Persia dei grandi poeti, quella di Khayyam, quella mantenuta nel ricordo malgrado mille e più anni d’Islam, la Persia o Iran che dir si voglia, quella che volta pagina nel ’79, s’arresta, indietreggia, entra nel radicalismo degli ayatollah.
Condanna per consumo di alcool, obbligo del chador, lapidazione per adulterio, alcuni dei punti cardine della Repubblica Islamica dell’Iran. Punti più o meno attuati, più o meno attesi secondo il grado d’ortodossia del presidente di turno. Ma non è questo che ci interessa, non ci interessa se al tempo del moderato, diplomatico Khatami, presidente uscente nel giugno scorso, l’Iran avesse fatto dei grossi passi verso l’alleggerimento della teocrazia, non ci interessa sapere che in Iran comanda chi impugna i servizi, chi controlla i pasdaran, non ci interessa sapere che al tempo di Khatami, anche allora, era il purista ayatollah Khamenei a muovere il paese.

Né ci interessa che a vincere le elezioni dello scorso giugno sia stato Mahmoud Ahmadi Nejad, l’ultraconservatore, quello di umili origini, ingegnere, ex sindaco di Téhéran. Quel che ci interessa è osservare come ancora una volta l’occidente si trastulli tra una menzogna e l’altra, come attui e o aderisca all’antica strategia de “Il Grande Gioco”. Il Grande Gioco, tattica diplomatica figlia d’Inghilterra, quella vittoriana, colonialista, tattica che vuole si agisca per l’occupazione o la sudditanza facendo apparire altri, sì da restarne apparentemente estranei, salvare la faccia per poi intervenire, a tempo opportuno, spesso su richiesta di popoli sobillati e o per loro liberazione dal “tiranno” del momento, autentico o costruito che sia.

Non è bastato l’Afghanistan, l’Iraq, non sono bastate le varie Sars, Aviare e ancora e ancora, per comprendere il Grande gioco? Evidentemente no.

Il Grande Gioco, ora, è molto più grande di quel che appaia, è il “pericolo” della Cina innanzi tutto, è “avidità” di petrolio, di gas, è droga d’ogni tipo dalla cocaina all’eroina, ed è anche l’Europa Unita, la cui unità non si vuole sia.
Il Grande Gioco ora, in questi giorni, mostra Iran e Israele, mostra il “pericolo” iraniano servendosi delle parole del nuovo presidente, sì, certo, non può dirsi diplomatico, nè può dirsi lontano dagli estremismi di pensiero islamico, un ex pasdaran, guardiano della rivoluzione, non potrebbe essere tale, non lontano dall’ortodossia, ma questo non fa di lui un pericolo internazionale.

Atteniamoci ai fatti, l’Iran non ha mai detto di voler attaccare Israele, ci risulta il contrario, ci risultano gli ultimi tempi quelli in cui Israele ha più volte minacciato di attaccare i siti nucleari iraniani per l’atomica, per impedirne la produzione. Ci risulta che sia Israele a possederla, ma la posseggono anche il Pakistan, l’India, la Cina, Israele è solo uno stato tra questi. O forse no, per Téhéran.
Mahmoud Ahmadi Nejad nulla o poco ha a che vedere con l’attuale voce dei media internazionali in merito, l’idea dei territori tedeschi e austriaci da disporre per parte del

 continua...

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