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25 ottobre 2005

Numero 0

computer domestico; il luogo dell’abitare non è l’alloggio. Soltanto una città può essere abitata: ma non è possibile abitare la città se essa non si dispone per l’abitare, e cioè non ‘dona’ luoghi. Il luogo è dove sostiamo; è pausa – è analogo al silenzio in una partitura.Non si dà musica senza silenzio. Il territorio post-metropolitano ignora il silenzio; non ci permette di sostare, di ‘raccoglierci’ nell’abitare” (Massimo Cacciari, Nomadi in prigione).

Si possono pensare ancora luoghi simbolici rigidamente separati, edifici pesanti, (l’Ospedale, il Museo, la Scuola, il  Comune etc.), ancorati ad un’anacronistica rigidità, e alla pretesa di poter costituire la misura dell’organizzazione della convivenza civile? Non si dovrebbe cominciare a pensare e progettare, piuttosto, città ordinate intorno a edifici ‘elastici’, polifunzionali e in permanente relazione tra loro, capaci di rispondere ad esigenze più articolate e immateriali delle persone?

La storia romana e i suoi lasciti, di cui come è noto siamo stati parte non secondaria, è una risorsa che non valorizziamo adeguatamente: avremo la capacità di usare i beni culturali non solo per matrimoni (Casina vanvitelliana), o spettacoli, quando non li lasciamo del tutto inutilizzati? Riusciremo mai a pensare e realizzare istituzioni ed eventi permanenti (università o scuole di alta formazione e specializzazione, iniziative di studio di prestigio internazionale, relative appunto al nostro grande passato)?

Bisogna essere consapevoli delle contraddizioni in cui siamo: viviamo in una città macchina, funzionale, in non-città in cui le persone intrecciano relazioni esclusivamente sulla base dei reciproci interessi e del divertimento privato; e, insieme, non possiamo che avere nostalgia (e da qui le sempre ritornanti mitologie della polis) della città-grembo, e della città ricca di luoghi simbolici, di comunità che stavano insieme intorno anche a valori, significati, in cui la comunicazione non fosse ridotta a informazione: “Dalla parte della mera informazione stanno oggi tutti coloro che sostengono che culture, tradizioni, religioni non sono che chiacchiere, o al più “poesia” buona per ornamenti, musei, gite del week end. Dall’altra parte stanno coloro, invece, che ritengono impossibile qualsiasi comunità svuotata del ‘rischio’ della comunicazione, che abbia smarrito ogni rapporto con la forza simbolica del suo linguaggio naturale” (Massimo Cacciari, Duemilauno).

Intervieni al dibattito forum@ulixes.it

 

Roma

i monaci guerrieri di shaolin

Di Marika Guerrini


E’ stato chiaro dal primo momento, dal diffondersi del suono registrato, dalle note singole, distanti, quando le luci rischiaravano la platea, il sipario era chiuso e il suono pentatonico preparava al silenzio un pubblico distratto, che sgranocchiava patatine sottratte al rumore delle buste, all’attenzione delle maschere.
E’ stato chiaro sin da allora che quello non sarebbe stato uno spettacolo qualunque, neppure speciale, di più. E così è stato, ieri, al teatro Parioli, c’è stato molto di più, un non spettacolo, una kermesse lontana dal comune mondo dello spettacolo, lontana dalla radio, dalla televisione, dal cinema, forse vicina all’arte teatrale, quella antica, desueta, l’origine, quella purificatrice.

“ Mistiche forze dei monaci Shaolin”, questo recita la locandina ma non specifica che, mistico, sta nella sua accezione originaria, anch’essa: iniziato ai misteri. Da otto anni i monaci Shaolin o meglio di Shaolin, località tempio nella provincia dello Henan, in Cina, otto anni, dicevamo, che un esiguo numero di monaci, discepoli e maestri del Buddhismo Zen nonché maestri di Kung Fu, portano in giro per il mondo questa disciplina presupposto di tutte le arti marziali orientali. In giro per il mondo vanno svelando, se pur minimamente, uno dei misteri dell’uomo, la possibilità di supremazia dello spirito sulla materia, dimostrando la possibilità dell’impossibile.

Alla domanda giornalistica: perché questo svelare se pur minimo, la risposta chiara di un monaco: perché la causa del Tibet, la sua libertà, lo chiede.
Sono guerrieri i monaci di Shaolin, asceti-guerrieri, parole d’ordine: concentrazione, consapevolezza, volontà, presenza di coscienza sempre, compassione, sempre anch’essa.
Tutto questo si percepisce nell’osservarli, si percepisce la loro rinuncia alla mondanità, la loro azione interiore prima esteriore poi, tesa alla realizzazione dell’armonia tra terra e cielo. Questo loro mondo fuoriesce da ogni più piccolo movimento, ogni gesto, ogni più piccola postura che sia delle membra, del busto o dello sguardo. Si percepisce nello schierarsi delle spade, nel roteare delle fruste, nelle scansioni dei tamburi, nella stasi e nei silenzi così come nell’urlo soffocato e deciso emesso per l’affermazione del Qi.

Cosa sia il Qi, è quasi impossibile comprendere senza la consapevolezza di forze sottili, appunto mistiche, misteriche, che attraversano l’uomo senza risultare di per sé visibili nella materia ma evidenti dalla loro azione su di essa. Il Qi è energia vitale, respiro, è il sentiero, è mille altre cose.
Ma il Qi non può esprimersi senza il Gong. l’azione, la volontà attuata, l’esercizio continuo, è il Gong che dà all’uomo la possibilità di creare equilibrio armonico tra corpo, anima e spirito.
No, “Mistiche forze dei monaci Shaolin” non è uno spettacolo, se così viene chiamato è per il nostro innato moto riduttivo dinanzi a ciò che sfugge al materiale controllo. continua...

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