La stanza dei
giochi è metafora, anche, tutto si svolge lì, la storia di Murat, quel re
di Napoli amato e non, l’impossibile amore tra Eugenio e Graziella, la
Graziella, quella procidana, quella cantata da A.de Lamartine. Tutto si
svolge su quel sottofondo come una memoria, lì, il vecchio principe padre,
specula sulla vita con leggiadria e saggezza di fanciullo, sulla vita
quale e come farfalla.
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Principe Nicola - Omar
Sharif |
Sì, è
fanciullo il principe Nicola: giovane, anziano, fa differenza? Non
credo, a parte che uno di noi due si ritrova con qualche anno di troppo.
E’ quel che
dice ad Eugenio, suo nipote, a proposito del coraggio d’esser nulla o
qualcosa. I suoi pensieri si svolgono in tempi abbracciati
dall’Illuminismo, tempi che mettono sulle labbra di Carolina, sposa di
Murat, parole quali: in politica non si vince con il cuore, ma con il
cervello!
Ma per noi
Carolina è fuori dalla stanza dei giochi, fuori dal riflettersi di essa,
dalla sua luce, non come Murat, Carolina è in altra luce, quella della
ragione, quella che non può essere fanciulla, non le è concesso, non può
vivere nella bellezza, nella gentilezza, ciò per cui Murat muore.
Bellezza, gentilezza che Nicola, malgrado la morte del figlio, sottolinea
ad Eugenio, parole, contenuti che gli raccomanda in uno splendido monologo
che dà voce alla stanza dei giochi, quella che ognuno, se puro di cuore,
porta con sè come un pascoliano fanciullino: figlio mio adorato, non
rinnegare mai la tua gentilezza. Lasciatene illuminare. Ti diranno che è
un difetto del carattere, una malattia grave, perché quelli che ne sono
affetti, sono destinati a perdere le battaglie di tutti i giorni...
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E’ vero, ma
tu non li ascoltare, la gentilezza è la nostra forza! E le nostre vittorie
non appartengono a questo tempo, a questo mondo! Scena ottantadue.
Sempre oltre
la stanza, il monologo, oltre la gentilezza, ancora soldati, passi di
marcia, battaglie. Battaglie di quel tempo, di quel mondo, di questo
tempo, di questo mondo, benché diverse nella forma, di questo nostro
mondo, lontano da quel primo ventennio del diciannovesimo secolo eppure
così vicino, così confinante. Qui l’allegoria del film, di questo film da
non perdere, il cui titolo, FUOCO SU DI ME, non è altro che le parole di
Murat nel comandare la propria esecuzione in piedi e con gli occhi
aperti. Un film, scritto e diretto da Lamberto Lambertini, un film che
fa onore a sentimenti, a valori dimenticati, accantonati dalla follia
della ragione portata all’eccesso. La nostra. Un film in cui
l’internazionalità del cast ha giocato a favore dei personaggi,
sottolineandone le sfumature caratteriali. Ci troviamo così davanti alla
saggezza fanciulla nello sguardo egiziano di Omar Sharif che veste gli
splendidi panni del principe Nicola, alla passionalità anch’essa fanciulla
tipica del popolo ungherese con Zoltàn Ràtòti, interprete di Murat, ci
troviamo dinanzi alla bellezza d’espressione nel volto e alla femminilità
nel gesto dell’indiana Sonali Kulkarni, sottile femminilità rarissima ora
in una fanciulla d’occidente, ma presente al tempo di Graziella. Attori
che, come si diceva, oltre all’indubbia professionalità, hanno messo a
servizio del personaggio il proprio umano bagaglio socio culturale, come
un sottile evanescente elemento, ma qui è d'uopo rifarsi alla bravura del
regista nella scelta degli attori e nel cogliere le sfumature.
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Graziella - Sonali
Kulkarni |
continua...
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