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pagina 2

aprile 2006

Numero 5

La stanza dei giochi è metafora, anche, tutto si svolge lì, la storia di Murat, quel re di Napoli amato e non, l’impossibile amore tra Eugenio e Graziella, la Graziella, quella procidana, quella cantata da A.de Lamartine. Tutto si svolge su quel sottofondo come una memoria, lì, il vecchio principe padre, specula sulla vita con leggiadria e saggezza di fanciullo, sulla vita quale e come farfalla.

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Principe Nicola - Omar Sharif

Sì, è fanciullo il principe Nicola: giovane, anziano, fa differenza? Non credo, a parte che uno di noi due si ritrova con qualche anno di troppo.

E’ quel che dice ad Eugenio, suo nipote, a proposito del coraggio d’esser nulla o qualcosa. I suoi pensieri si svolgono in tempi abbracciati dall’Illuminismo, tempi che mettono sulle labbra di Carolina, sposa di Murat, parole quali: in politica non si vince con il cuore, ma con il cervello!

Ma per noi Carolina è fuori dalla stanza dei giochi, fuori dal riflettersi di essa, dalla sua luce, non come Murat, Carolina è in altra luce, quella della ragione, quella che non può essere fanciulla, non le è concesso, non può vivere nella bellezza, nella gentilezza, ciò per cui Murat muore. Bellezza, gentilezza che Nicola, malgrado la morte del figlio, sottolinea ad Eugenio, parole, contenuti che gli raccomanda in uno splendido monologo che dà voce alla stanza dei giochi, quella che ognuno, se puro di cuore, porta con sè come un pascoliano fanciullino: figlio mio adorato, non rinnegare mai la tua gentilezza. Lasciatene illuminare. Ti diranno che è un difetto del carattere, una malattia grave, perché quelli che ne sono affetti, sono destinati a perdere le battaglie di tutti i giorni...

 

E’ vero, ma tu non li ascoltare, la gentilezza è la nostra forza! E le nostre vittorie non appartengono a questo tempo, a questo mondo! Scena ottantadue.

Sempre oltre la stanza, il monologo, oltre la gentilezza, ancora soldati, passi di marcia, battaglie. Battaglie di quel tempo, di quel mondo, di questo tempo, di questo mondo, benché diverse nella forma, di questo nostro mondo, lontano da quel primo ventennio del diciannovesimo secolo eppure così vicino, così confinante. Qui l’allegoria del film, di questo film da non perdere, il cui titolo, FUOCO SU DI ME, non è altro che le parole di Murat nel comandare la propria esecuzione in piedi e con gli occhi aperti. Un film, scritto e diretto da Lamberto Lambertini, un film che fa onore a sentimenti, a valori dimenticati, accantonati dalla follia della ragione portata all’eccesso. La nostra. Un film in cui l’internazionalità del cast ha giocato a favore dei personaggi, sottolineandone le sfumature caratteriali. Ci troviamo così davanti alla saggezza fanciulla nello sguardo egiziano di Omar Sharif che veste gli splendidi panni del principe Nicola, alla passionalità anch’essa fanciulla tipica del popolo ungherese con Zoltàn Ràtòti, interprete di Murat, ci troviamo dinanzi alla bellezza d’espressione nel volto e alla femminilità nel gesto dell’indiana Sonali Kulkarni, sottile femminilità rarissima ora in una fanciulla d’occidente, ma presente al tempo di Graziella. Attori che, come si diceva, oltre all’indubbia professionalità, hanno messo a servizio del personaggio il proprio umano bagaglio socio culturale, come un sottile evanescente elemento, ma qui è d'uopo rifarsi alla bravura del regista nella scelta degli attori e nel cogliere le sfumature.

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Graziella - Sonali Kulkarni

 continua...

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