immaginare, e
quindi compatire, chi, in un viaggio per mare in simili condizioni, vede
non metaforicamente annegare la propria esistenza e la speranza di
un’altra vita.
Nelle
relazioni effettive tra popoli ricchi e poveri, meno che mai, valgono le
parabole evangeliche o la giustizia: e, tuttavia, noi, e lo dico senza
ironia, che con rigore morale e delicatezza, discutiamo animatamente e a
fondo, di embrioni e di feti, della difesa della vita dal concepimento
fino alla morte naturale, di matrimoni gay e di coppie di fatto, non
dovremmo estendere la coerenza assoluta tra principi etici e comportamenti
cui ci piace anelare, ai giovani neri africani, e non, riservando maggiore
attenzione e concrete iniziative alla loro speranza di vita mortificata
nei loro come nei nostri paesi?
Téhéran e le menzogne dell’occidente
di Marika Guerrini
“...il dolore mi strazia il cuore, intenso, intatto, quando ricordo quel
mattino del gennaio 1979. Un silenzio angosciante s’era abbattuto su
Téhéran, come se la nostra capitale, a ferro e fuoco da mesi, stesse
all’improvviso trattenendo il respiro...”.
Parole di Farah Diba Pahlavi, queste, parole di
un’imperatrice, la Shahbanou, sposa dell’ultimo imperatore
dell’Iran, dello Shah Mohammad Reza Pahlavi. Parole dell’ultima
imperatrice a ventiquattro anni da allora, parole di poco fa, del 2003,
ancora ora.
A pochi giorni da quel mattino, da quel 16 gennaio del ’79, dopo l’impero,
dopo la liberazione dall’obbligo del chador, dopo le centinaia di
borse di studio per Europa, Stati Uniti, denaro per gli studenti, perché
apprendessero la modernità delle professioni, delle specializzazioni in
ogni campo, dopo l’armamento di un potente esercito, l’avanzamento della
tecnologia, dopo la ricerca d’una modernizzazione, comunque, anche
malgrado le atrocità della Savak, uomini dei servizi, dopo il silenzio di
quel mattino, a meno di trenta giorni, quel popolo del respiro trattenuto,
inneggiò all’ortodossia.
In un mattino anch’esso, ma di febbraio, anno: lo stesso, Rubullah
Khomeini, ayatollah, alto prelato del clero musulmano sciita, sarebbe
sceso dalla scaletta dell’aereo che lo aveva portato in patria. Anni di
esilio in Iraq, due soli mesi a Parigi, Khomeini, avanzò da quella
scaletta, impettito, forte dell’occulto potere clericale, forte del
capillare, annoso lavoro destabilizzante l’impero, quel lavoro partorito
fuori dai patri confini, lontano, in occidente, da quegli stessi studenti
cui il “regime” dello Shah elargiva borse di studio, quegli stessi che
lamentandosi di mancata libertà di parola, di pericoli anche all’estero,
agivano a loro piacimento partecipando a cortei politici d’ogni ideologia
senza che accadesse nulla. Senza che comprendessero nulla. Forse.
Al tempo, gli Stati Uniti, “amici” dello Shah, per bocca di Turner allora
direttore della CIA, così si espressero: ”Non
avevamo previsto che un vecchio di 78 anni potesse mettere insieme così
tante forze e trasformarle in una rivoluzione nazionale”.
|
|
Con Khomeini, la Repubblica Islamica dell’Iran, piccolo particolare
tralasciato, un appellativo: Teocratica.
La Persia dei grandi imperi, degli Achemenidi, degli Arsacidi, dei
Sasanidi, dei Safavidi, giù, giù fino ai Pahlavi, la Persia dei grandi
poeti, quella di Khayyam, quella mantenuta nel ricordo malgrado mille e
più anni d’Islam, la Persia o Iran che dir si voglia, quella che volta
pagina nel ’79, s’arresta, indietreggia, entra nel radicalismo degli
ayatollah.
Condanna per consumo di alcool, obbligo del chador, lapidazione per
adulterio, alcuni dei punti cardine della Repubblica Islamica dell’Iran.
Punti più o meno attuati, più o meno attesi secondo il grado d’ortodossia
del presidente di turno. Ma non è questo che ci interessa, non ci
interessa se al tempo del moderato, diplomatico Khatami, presidente
uscente nel giugno scorso, l’Iran avesse fatto dei grossi passi verso
l’alleggerimento della teocrazia, non ci interessa sapere che in Iran
comanda chi impugna i servizi, chi controlla i pasdaran, non ci interessa
sapere che al tempo di Khatami, anche allora, era il purista ayatollah
Khamenei a muovere il paese.
Né ci interessa che a vincere le elezioni dello scorso giugno sia stato
Mahmoud Ahmadi Nejad, l’ultraconservatore, quello di umili origini,
ingegnere, ex sindaco di Téhéran. Quel che ci interessa è osservare come
ancora una volta l’occidente si trastulli tra una menzogna e l’altra, come
attui e o aderisca all’antica strategia de “Il Grande Gioco”. Il Grande
Gioco, tattica diplomatica figlia d’Inghilterra, quella vittoriana,
colonialista, tattica che vuole si agisca per l’occupazione o la
sudditanza facendo apparire altri, sì da restarne apparentemente estranei,
salvare la faccia per poi intervenire, a tempo opportuno, spesso su
richiesta di popoli sobillati e o per loro liberazione dal “tiranno” del
momento, autentico o costruito che sia.
Non è bastato l’Afghanistan, l’Iraq, non sono bastate le varie Sars,
Aviare e ancora e ancora, per comprendere il Grande gioco? Evidentemente
no.
Il Grande Gioco, ora, è molto più grande di quel che appaia, è il
“pericolo” della Cina innanzi tutto, è “avidità” di petrolio, di gas, è
droga d’ogni tipo dalla cocaina all’eroina, ed è anche l’Europa Unita, la
cui unità non si vuole sia.
Il Grande Gioco ora, in questi giorni, mostra Iran e Israele, mostra il
“pericolo” iraniano servendosi delle parole del nuovo presidente, sì,
certo, non può dirsi diplomatico, nè può dirsi lontano dagli estremismi di
pensiero islamico, un ex pasdaran, guardiano della rivoluzione, non
potrebbe essere tale, non lontano dall’ortodossia, ma questo non fa di lui
un pericolo internazionale.
Atteniamoci ai fatti, l’Iran non ha mai detto di voler attaccare Israele,
ci risulta il contrario, ci risultano gli ultimi tempi quelli in cui
Israele ha più volte minacciato di attaccare i siti nucleari iraniani per
l’atomica, per impedirne la produzione. Ci risulta che sia Israele a
possederla, ma la posseggono anche il Pakistan, l’India, la Cina, Israele
è solo uno stato tra questi. O forse no, per Téhéran.
Mahmoud Ahmadi Nejad nulla o poco ha a che vedere con l’attuale voce dei
media internazionali in merito, l’idea dei territori tedeschi e austriaci
da disporre per parte del
continua...
|
|