Il rischio di genocidio in TIBET

Nell’articolo di recente pubblicato su questa rivista, in occasione della visita del Dalai Lama in Italia, si esprimeva disappunto e disgusto per l’atteggiamento servile che molti politici italiani hanno avuto rispetto alla richieste della Repubblica Popolare Cinese di censurare il più possibile tale personalità e la questione del Tibet. Oggi, a fronte degli eventi cruenti che hanno luogo in quel Paese, occupato dalla Cina comunista nel 1950, si dimostra non solo la arroganza politica e morale dimostrata dalle autorità cinesi ma anche il loro consumato cinismo alimentato proprio dalla passività di tutti quanti non hanno il senso della dignità personale o forse sono stati “comprati”dagli ex-comunisti di Mao.

Il Tibet vive oggi momenti di acuta crisi sociale ed etnica, nonché di emarginazione politica, dovuti ad anni di discriminazioni cinesi verso la comunità originaria di quel Paese. La continua immigrazione cinese, mirante ad un assoggettamento della popolazione autoctona, ha portato ad un disfacimento progressivo della cultura e della tradizione del Tibet ma non ha minimamente giovato al dialogo sociale e politico.
Le recenti azioni di protesta del popolo tibetano contro coloro che progressivamente hanno disperso, distrutto od emarginato la antica cultura del Tibet, ostacolando l’uso della lingua tibetana, ed impedendo la libera manifestazione del pensiero e della pratica religiosa, sono una chiara dimostrazione di forte disagio e di percezione che la loro cultura e la stessa popolazione sono a rischio di sopravvivenza. Ciò dovrebbe indurre la comunità nazionale e quella internazionale ad una riflessione sui reali gravi rischi di genocidio del popolo del Tibet.
La popolazione originaria del Tibet è quella che da molti secoli vive in quel territorio, che ha sviluppato una complessa e ricca cultura, frutto anche del fecondo scambio tra la tradizione cinese e quella indiana. Tale popolazione, a partire dal 1950, ha subito forti e violenti attacchi, prima militari poi economici, sociali e politici, ed è considerata dal governo cinese solo come una sgradita minoranza. Molte le testimonianze di donne indotte all’aborto forzato, di reclusioni ingiustificate, di torture, di sparizioni in stile sudamericano.
A nulla è valsa la sempre manifestata disponibilità al dialogo del Dalai Lama, autorità spirituale e morale del Tibet di notorietà mondiale, che ha sempre invitato al confronto pacifico. Le analogie tra il crescente rischio di lento genocidio ed eventi storici, pure europei, non molto lontani nel tempo, impone un livello di attenzione ed azione molto alti, sia perché dovrebbe esserci un impegno morale ad impedire che eventi come la Shoà possano ripetersi, sia perché la Rep. Popolare Cinese ritiene di potersi porre alla pari di altri Paesi che invece rispettano i diritti umani fondamentali. La differenza è invece ancora molto forte e, purtroppo per il popolo cinese e per quello del Tibet, la R.P. Cinese per quanto stia preparando olimpiadi sfavillanti resta un Paese ancora arretrato giuridicamente e socialmente, con autorità politiche che oltre a praticare diffusamente la pena di morte e la tortura, continuano a violare sistematicamente il diritto alla libertà ed alla sopravvivenza personali.

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