Alcune riflessioni su condizionamento, informazione e traumi

AGGIORNAMENTI di NEUROSCIENZE

Più volte l’opinione pubblica si è chiesta se e quanto alcuni contenuti divulgati dai mezzi di comunicazione possano incidere sulla mente e sui comportamenti delle persone, così come più volte ci si chiede quanto danno possano arrecare gli effetti dei traumi (violenze subite, incidenti, catastrofi naturali, ecc.) a distanza di tempo. Le risposte a questi due interrogativi sono entrambe connesse a quei meccanismi mentali che entrano in gioco nel modellare i comportamenti umani e che si intersecano con gli schemi del condizionamento associato alle informazioni ed alle situazioni ambientali. Da un punto di vista psicofisiologico, sia l’informazione esterna che quella interna, relativa agli stati corporei, sono mediate e trasdotte dal sistema limbico-ipotalamico, con il diversificato apporto dei due emisferi cerebrali ed il sovra coordinamento di aree dei lobi frontali. La trasduzione è la trasformazione di segnali, grandezze o tipo di energia in segnali, grandezze od energia di natura diversa. La trasduzione è una delle principali modalità di interazione mente-corpo. Una parte dell’interesse applicativo verso tali meccanismi risiede sia nella possibilità di indurre, o pilotare, volontariamente dei comportamenti (ad esempio con pubblicità, manipolazione da propaganda, ecc.), sia nello studio degli effetti comportamentali, a lungo termine, dei traumi. Le ricerche sugli effetti dei mezzi di comunicazione, in particolare quelle sulle conseguenze dell’esposizione a contenuti violenti ed a contenuti sessuali (1) offrono, a loro volta, dati e suggeriscono spunti di riflessione.
Un primo dato sul quale soffermarsi è la stima, basata su ricerche statunitensi svolte negli ultimi dieci anni, secondo la quale i giovani dagli 8 ai 18 anni trascorrono in media oltre 20 ore settimanali seguendo programmi televisivi, cui si aggiungono almeno altrettante ore di videogiochi ed internet. Le ore televisive, in quest’arco di tempo sono pari a circa 15.000, cui corrisponde la visione di almeno 18.000 persone assassinate, oltre a migliaia di altri atti violenti. Tali contenuti, ad opinione di molti studiosi, predispongono una parte degli spettatori alla realizzazione di atti violenti. Tuttavia non è solo questo l’aspetto problematico da considerare, quanto piuttosto l’effetto generale che l’esposizione a segnali o messaggi violenti, od a sfondo sessuale, produce nella maggior parte degli spettatori, che tende progressivamente ad assuefarsi, ovvero abituarsi, ai contenuti stessi.
Come afferma la legge di Weber, maggiore l’intensità di uno stimolo maggiore sarà la differenza necessaria rispetto ad un altro stimolo affinché tale differenza possa essere rilevata. Si può anche ricordare che la sensazione è direttamente proporzionale al logaritmo dell’intensità dello stimolo; ovvero, se lo stimolo aumenta in proporzione geometrica la sensazione aumenta solo in progressione aritmetica. Cosa discende da ciò? Che un livello progressivamente più alto di esposizione ad un certo tipo di contenuto (con stimoli di sempre maggiore intensità emotiva od ansiogeni) porta ad una progressiva assuefazione, tale da rendere sempre meno attivanti (e rilevanti), per l’attenzione e l’emotività, i contenuti stessi qualora siano di livello inferiore. In altri termini, non c’è solo la conseguenza di accrescere la predisposizione verso atti violenti di una parte limitata della popolazione –cosa che pure si verifica- quanto quella di modificare la soglia di attenzione, attivazione (o arousal, nel linguaggio tecnico) e di valenza emotiva di atti e contenuti per la maggior parte degli spettatori coinvolti in comunicazioni caratterizzate da quei contenuti.
Piacere e dolore sono i due principali fattori di rinforzo dell’apprendimento e del comportamento, così come del modo in cui sperimentiamo ed esprimiamo noi stessi. Anche loro surrogati approssimativi e semplificati, od equivalenti artificiali, possono produrre effetti analoghi, motivo per il quale violenza e sessualità, in genere, sono due condizionatori di comportamento di vasta diffusione e pressoché universali in una amplissima varietà di contesti sociali e culturali. Dalle situazioni più complesse e raffinate a quelle più primitive e brutali, nelle società industrializzate come in quelle tradizionali e tribali. Per quanto riguarda il dolore, non solo i condizionamenti ottenuti attraverso stimoli avversativi (cioè dolorosi o traumatici) sono più duraturi, ma una esperienza traumatica provoca non solo reazioni specifiche ad un dato segnale o stimolo specifico ma pure reazioni dette “di ordine superiore”, cioè a molti fattori associati od associabili (ad esempio quelli ambientali) allo stimolo/evento negativo principale. Quindi, con uno stimolo incondizionato negativo, doloroso o stressante, il condizionamento, che può stabilirsi anche dopo una sola associazione, non solo tende a perdurare nel tempo ma facilmente determina anche condizionamenti di ordine superiore (cioè risposte a stimoli del tutto diversi da quello iniziale, condizionato, se associati ad esso). L’effetto più noto è il cosiddetto “evitamento”, cioè una costruzione mentale e comportamentale della persona che spinge la stessa ad evitare una situazione che possa richiamare alla mente fattori ansiogeni o suscitatori di timore. Sebbene tale reazione sia da considerare difensiva (cioè utile), di fatto non solo provoca una modificazione notevole del comportamento ma altera ed incrementa la percezione della pericolosità di alcuni stimoli o situazioni. Si determinano così delle immagini mentali, frutto di stati emotivi interni, che contribuiscono ad alterare sistematicamente i rapporti con la realtà sociale e le modalità di giudizio della persona che abbia tali immagini. Se tutto ciò accade durante i primi 15-17 anni di vita (infanzia ed adolescenza) lascia tracce più profonde nella memoria e nella mente della persona, e gli eventuali eventi negativi, o traumi, andranno a costituire degli ancoraggi involontari nella memoria autobiografica della persona stessa, amplificando gli effetti di quanto verificatosi ed influendo sul giudizio di se stessi che le persone danno (cioè minando autovalutazione ed autostima). Ciò porta, oltretutto, a sopravvalutare gli eventi negativi e quindi i loro effetti.
Per quanto riguarda i contenuti di tipo sessuale, associabili verosimilmente al piacere, entra in azione la legge dell’effetto (o di Thorndike): una azione che provoca un effetto positivo (piacevole) ha più probabilità di essere ripetuta nel tempo, mentre un comportamento che abbia prodotto un effetto negativo ha molte meno probabilità di essere messo in atto (a meno che non acquisti inconsciamente valenze positive). L’ esposizione a segnali o contenuti sessuali, sia pure con le molte diversità e sfumature culturali e sociali, produce una azione di risposta di condizionamento presumibilmente positiva (essendo una pulsione base comune a gran parte delle specie biologiche), cioè di rinforzo e modellamento progressivo. Se ciò è vero a livelli di segnale bassi, od al più medi, una elevazione degli stessi (o sovraesposizione prolungata), per la legge di Weber, determina progressivamente una sempre minore reattività a segnali di bassa o minore intensità. Concretamente, una minore reattività ai segnali sessuali (come a quelli violenti), quanto meno a quelli più sfumati (e spesso culturalmente ricchi) a favore di quelli più intensi ed espliciti, ma sostanzialmente primitivi. Diverso il caso se la sessualità è connessa al trauma stesso, come nei casi di violenza, per cui scattano simultaneamente reazioni opposte: ipo-reattività e iper-reattività.
Ma c’è ancora un’altra caratteristica sulla quale richiamare brevemente l’attenzione: il contesto ambientale e sociale. I giudizi delle persone spesso non sono tanto il prodotto di ciò che esse sanno o pensano individualmente ma sono influenzati dalle caratteristiche della situazione all’interno della quale i giudizi sono espressi. E poiché le persone sono spesso ansiose di capire o giustificare comportamenti ed emozioni, si tende ad interpretare i fatti al di là dei dati oggettivi. I ricordi possono così diventare più simili alle nostre aspettative, convergono e concordano con esse. L’influenza del contesto può determinare false memorie, sviluppando ricordi a sostegno del proprio senso di colpa anche per eventi non verificatisi. Il modo in cui degli eventi sono percepiti dipende pure da come sono descritti, singolarmente e nella cultura di appartenenza, così alcune parole possono avere valenze interne individuali ben diverse da quelle comuni grammaticali. Le valenze interne sono in parte derivate alla cultura, gruppo o persona adottati come riferimento e dalle esperienze pregresse.
Per tali motivi indurre stati progressivi di depressione attraverso informazioni o situazioni che alimentano ansia ed allarme (le cosiddette informazioni ansiogene), modifica i processi di richiamo della memoria, alterando non solo il comportamento ma anche gli schemi mentali prevalenti. Ad esempio, una persona portata verso stati depressivi, è meno reattiva verso alcuni stimoli ed informazioni e più sensibile ad altri, cioè modifica il proprio schema di attenzione verso l’esterno, inoltre tende mediamente a ridurre le proprie scelte potenziali di interpretazione e valutazione, limitando le possibilità di soluzione e miglioramento. L’induzione di stati emotivi interferisce sempre sulle facoltà di scelta e di organizzazione delle percezioni, poiché non c’è una razionalità puramente astratta e, specialmente nelle situazioni di ambiguità, le componenti emotive contribuiscono ad orientare le scelte. In situazioni di stress o di particolare confusione le decisioni delle persone tendono a basarsi non sull’analisi della situazione specifica ma sulla sua somiglianza analogica con altre situazioni note o già sperimentate. Se questo tipo di procedura può essere efficace per persone esperte in date situazioni, è spesso fuorviante per le persone non esperte o con scarsa esperienza le quali adottano riferimenti ipotetici o veicolati delle informazioni prevalenti. Tra gli altri dati rilevati, in varie ricerche, sono quelli sulle scelte, che sono interpretate, in caso di situazioni od eventi ambigui, proprio secondo il proprio umore emotivo. Ciò alimenta la cosiddetta “illusione di focalizzazione”, un genere di distorsione che porta le persone a valutare in modo scorretto il proprio livello di benessere (malessere). Infatti quando una persona ha l’attenzione che è orientata da un possibilità di cambiamento, in un aspetto particolare ma significativo, essa tende a sopravvalutare, a causa di ciò, gli esiti del cambiamento immaginandoli tali da determinare un livello più generale di benessere (o di malessere).
Dalle sintetiche riflessioni sopra riportate si evidenziano alcuni dei percorsi neuro-comportamentali attraverso i quali si intrecciano contenuti informativi, condizionamento e stati emotivi. L’interdipendenza ed interferenza in atto, in molte delle costruzioni mentali delle persone, è prodotta dai circuiti neuronali del sistema limbico-ipotalamico e della corteccia frontale, attraverso la trasduzione. A questi circuiti, in specie quello psico-neuro-endocrino-immunologico, fanno capo le immagini corporee alla costruzione delle quali contribuiscono anche gli schemi cognitivi, emotivi e simbolico-culturali. Le reazioni ai segnali ambientali di maggiore impatto, che si potrebbero indicare come traumatici od almeno di forte stress, viene in parte memorizzata in configurazioni di “stato”, le quali apportano modellamenti progressivi nel comportamento e nella percezione. Ciò influenza l’organizzazione delle percezioni, delle scelte e decisioni, dei filtri dell’attenzione verso i segnali ambientali e della loro interpretazione. Lungi dal manifestarsi come relazione lineare di causa – effetto, i percorsi di azione ed interferenza operano su diversi livelli, cui si aggiungono le differenze individuali relative alle esperienze precedenti ed alle situazioni contestuali presenti. L’induzione di stati di ansia, stress od eccitazione, secondo assi temporali casuali e comunque diversi da quelli dei cicli biologici normali, determina sequenze alterate di micro-stati di memorizzazione psicosomatica i cui esiti, ancora poco studiati, verosimilmente producono stati progressivi di ansia diffusa, aumentano il livello di stress di fondo percepito e sono una delle possibili cause della diffusione di alcune sindromi psicosomatiche. Infatti, quando anche si determini assuefazione, il cui esito rappresenta di fatto una sorta di adattamento al mutato contesto, ciò non riduce l’induzione di stati alterati di ansia, stress e/o squilibrio emotivo i cui effetti si cumulano nel tempo.

(1) Non ci si riferisce qui alla pornografia in senso stretto, per la quale entrano in azione meccanismi parzialmente diversi e che, come varie ricerche documentano, può indurre dipendenza progressiva.

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