Ritmi ed asincronie in cronobiologia e cronopsicologia

AGGIORNAMENTI di NEUROSCIENZE

La cronobiologia attraverso lo studio dei bioritmi descrive e studia quali cicli e ritmi si manifestano in ciascuna persona al trascorrere del tempo. Alcuni di questi ritmi sono ben noti a chiunque: il sonno, l’alimentazione, le mestruazioni, si presentano in sequenze che per quanto possano variare da una persona all’altra hanno delle costanti abbastanza precise. Ad livello più complesso si parla anche di bioritmo emotivo e di quello intellettivo, la cui variabilità più ampia. Una delle principali caratteristiche della materia vivente è infatti la sua intrinseca capacità evolutiva e dinamica nel tempo. La capacità degli esseri viventi di modificare i propri bioritmi in funzione delle condizioni esterne è una proprietà adattativa fondamentale, indispensabile per sincronizzare l’organismo con l’ambiente circostante. I ritmi biologici umani sono regolati da specifiche strutture cerebrali, esse determinano un’attività spontanea detta free-running, che normalmente risente dell’influenza di diversi elementi esogeni chiamati in cronobiologia “segnapassi” (Zeitgeber), ovvero agenti od eventi ambientali (come la luce solare) che forniscono un segnale per la regolazione o il ripristino di un ritmo biologico. Le principali strutture nervose deputate al controllo dei ritmi biologici sono: il nucleo soprachiasmatico dell’ipotalamo e l’epifisi.

I parametri vitali possono essere divisi in due classi: alcuni seguono il ritmo sonno-veglia, altri il ritmo della temperatura. Ciò porterebbe alla presunzione dell’esistenza di più orologi interni alla base del sistema circadiano. Tutti i tessuti del corpo possono generare ritmi, ma, probabilmente, i tessuti periferici contengono oscillatori secondari, mentre quelli principali risiedono nel SNC: come avviene nell’organizzazione funzionale del cuore, se la struttura generatrice del ritmo gerarchicamente superiore è efficiente le altre, pur essendo potenziali pace-maker, rimangono silenti. Il bioritmo della melatonina costituisce un noto legame fra l’organismo ed i ritmi fisici dell’ambiente: questo ormone è un importante regolatore del ritmo sonno veglia ed è estremamente sensibile alla durata del fotoperiodo. In uno studio sui gemelli, si è notato che il 28-45% della variabilità nei livelli di stagionalità può essere spiegato in base a fattori genetici. Si è pure evidenziato che la ereditabilità genetica per la stagionalità è più forte nei maschi che nelle femmine, sebbene queste ultime abbiano una maggiore tendenza alle variazioni stagionali del tono dell’umore. Rispetto alla stagionalità, i fattori genetici maschili risultano prevalentemente protettivi mentre quelli femminili sono fattori prevalentemente di vulnerabilità.
Tutti questi ritmi non sono solo un adattamento passivo all’ambiente ma il prodotto dell’intreccio di situazioni ambientali, genetiche, cellulari e cerebrali. Nel cervello è il cosiddetto orologio biologico cerebrale, posto nei neuroni del nucleo soprachiasmatico ipotalamico, collegato attraverso vari neurotrasmettitori ad altre zone del cervello ma anche ad aree gastro-intestinali. In particolare, il peptide intestinale vasoattivo (abbreviato in VIP, in inglese) è un ormone peptidico prodotto dal pancreas e da particolari cellule del duodeno: esso ha un ruolo strategico poiché agisce su intestino, ipotalamo e cuore. Lo sfasamento anche di uno di questi ritmi produce nel tempo danni all’organismo e, a sua volta, è l’effetto probabile di patologie o disturbi quanto meno transitori. A partire da questi eventi ciclici, l’esplorazione si è ampliata verso manifestazioni meno evidenti o note, dalla temperatura corporea alle concentrazioni ormonali, dalle onde cerebrali alle diverse attività cellulari sino alle influenze stagionali ed ai campi magnetici solari. Ciò che sempre più si profila è un sovrapporsi di ritmi e cicli, ovvero di tempi che, pur nelle loro differenze (entro certi limiti) di manifestazione garantiscono un corretto funzionamento del corpo e della mente. Ancora approssimative sono le ampiezze delle variabilità accettabili per una normalità statistica, così come ancora poco definiti sono gli effetti delle asincronie ed alterazioni concomitanti e possibili.
Negli ultimi venti anni è cresciuto costantemente anche il numero degli studi psichiatrici ad impronta cronobiologica. È oramai dimostrato che i fenomeni psichici, come altre funzioni biologiche umane, presentano una specifica organizzazione e dimensione temporale. Lo studio delle relazioni tra cronobiologia e malattie mentali ha avuto un significativo impulso e le scoperte si ritiene possano essere ancora numerose. Tra le molte acquisizioni che si devono a tale filone di ricerca le più rilevanti, per le conseguenze che hanno avuto in ambito pratico e teorico, sono: a) l’introduzione del concetto di “stagionalità”; b) la descrizione dei “disturbi da desincronizzazione”; c) la dimostrazione dell’esistenza di una relazione tra elementi circadiani e disturbi psichiatrici. Si è ad esempio constatato che nei soggetti affetti da disturbi del tono dell’umore e da disturbi d’ansia sono presenti alterazioni delle funzioni biologiche a carattere ritmico, in particolare nel ciclo sonno/veglia. Dal confronto tra soggetti con disturbi d’ansia e soggetti con disturbi depressivi sono emerse delle differenze nei bioritmi durante il periodo adolescenziale, che vanno però riducendosi con l’avanzare dell’età fino a quando i due profili tendono in buona parte a sovrapporsi. In letteratura sono presenti molti studi che indagano le modificazioni dei ritmi a carattere circadiano correlate con patologie psichiatriche, quali disturbo depressivo e disturbi d’ansia. Sono, al contrario, poco trattate quelle tematiche volte a indagare la possibile presenza di alterazioni di tali bioritmi in quelle fasi della vita precedenti l’esordio conclamato della patologia psichiatrica (periodi adolescenziale e giovanile). Da alcuni studi è stato osservato, tra l’altro, che persone depresse tendono a svegliarsi mediamente prima, ed anche ad addormentarsi prima delle persone non depresse (una variazione statistica di circa mezz’ora); anche il ciclo dell’appetito risulta un po’ sfasato, ovvero in ritardo di circa un’ora nei depressi. Risultati analoghi sono stati ottenuti da ricerche su persone con disturbi di ansia, per entrambi i gruppi pure i momenti di maggiore concentrazione e quello di maggiore energia della giornata risultano sfasati. Altri studi hanno indagato su persone con attacchi di panico e su persone con disturbi depressivi, in particolare nell’adolescenza, ottenendo dati che indicano un addormentamento posticipato negli adolescenti che manifestano attacchi di panico rispetto a quelli con manifestazioni depressive. Questi ed altri studi hanno perciò individuato due tipi di sfasamento cronobiologico: l’anticipazione di fase o il ritardo di fase. Tali sfasamenti riguardano non solo il ritmo sonno-veglia, di più facile rilevazione, ma l’insieme del profilo circadiano (1). Anche l’esperienza clinica conferma che sia i disturbi d’ansia che quelli depressivi si associano ad un compromissione dei ritmi circadiani ed essa può aiutare nella definizione diagnostica degli stessi disturbi. E’ provato che nei soggetti affetti da disturbi dell’umore e disturbi d’ansia, siano presenti modificazioni delle funzioni biologiche a carattere ritmico. Le alterazioni di questi ritmi biologici, apparentemente non correlabili tra loro, potrebbero avere una comune origine organica (nei pazienti depressi è estremamente comune il riscontro di un alterato funzionamento dell’asse ipotalamico-ipofisario-surrenalico) quale una alterata secrezione di melatonina, diminuita nella fase acuta depressiva. Il sonnoveglia, la temperatura corporea, l’attenzione, la concentrazione e l’attività fisica sono notoriamente connessi e influenzati dalla presenza della melatonina.

L’interesse clinico per gli effetti terapeutici della fototerapia ha pure avuto negli ultimi anni una
fase di notevole espansione. Infatti, sebbene il Disturbo Affettivo Stagionale (SAD) abbia rappresentato il primo obiettivo della fototerapia, l’uso terapeutico della luce ha incrementato il suo campo di applicazione ad altri disturbi quali la depressione stagionale, la sindrome premestruale e lo studio degli effetti della luce sui ritmi circadiani dell’uomo (es. disturbi del sonno, jet lag). Il concetto di stagionalità nei disturbi affettivi non può essere descritto come un fenomeno presente-assente ma è piuttosto un continuum sintomatologico fra un estremo, caratterizzato da pazienti affettivi non influenzati dalla stagionalità all’altro, composto da pazienti affetti da SAD conclamato. Gli episodi di SAD possono presentarsi all’interno sia di un disturbo affettivo unipolare che bipolare (2) e sono caratterizzati da un esordio in un particolare periodo dell’anno, generalmente l’autunno / inverno, con remissione spontanea in primavera / estate, e non sono in relazione specifica ad eventi stressanti. I pazienti affetti da disturbo affettivo stagionale presentano riduzione dell’attività motoria, diminuzione del tono dell’umore con peggioramento serale, ritiro relazionale, ipersonnia con diminuzione degli stadi 3 e 4 ed aumento della densità dei movimenti rapidi oculari (REM), desiderio di carboidrati (craving) e conseguente aumento ponderale. Altri possibili sintomi possono essere: ansia nelle fasi prodromiche e iniziali del disturbo, facile irritabilità, abbandono delle occupazioni e degli interessi abituali. Anche se non frequenti, vengono riportati viraggi estivi in senso maniacale o ipomaniacale. La prevalenza del SAD è stimata fra il 2.4% ed il 9.7% nella popolazione mondiale; la prevalenza della forma subsindromica è del 10-15%, mentre più bassa è la prevalenza del SAD a ricorrenza estiva; il 15-20% della popolazione generale risulta risentire di rilevanti modificazioni stagionali dell’umore. L’incidenza del disturbo è più elevata nel sesso femminile (probabilmente per le differenti risposte biochimiche alle variazioni climatiche) nella proporzione di circa 3:4 a differenza della depressione non stagionale che è più frequente nel sesso femminile in un rapporto di 2:1 rispetto a quello maschile. Inoltre, i soggetti affetti da SAD sono tendenzialmente più giovani dei pazienti affetti da altri disturbi depressivi.
Si è ipotizzato che nel SAD non fossero alterati i livelli di sintesi della melatonina bensì l’oscillatore circadiano che ne regola l’inizio della secrezione, ovvero ritmo circadiano e secrezione avrebbero un ritardo di fase rispetto all’inizio del sonno, spostandosi verso le prime ore del mattino. Inoltre, essendo il ritmo secretivo della melatonina l’organizzatore di altri ritmi circadiani, il suo ritardo di fase in autunno ed in inverno ritarderebbe anche questi ultimi, tuttavia alcuni studi sulla fototerapia non hanno pienamente confermato queste ipotesi. Così come, in alcuni studi, l’esposizione a luce intensa risulta avere prodotto degli effetti indipendentemente dalla secrezione della melatonina. E’ possibile che l’esposizione alla luce influenzi non tanto la melatonina quanto la serotonina; altri studi hanno equiparato la fototerapia ad un ciclo di trattamento con triptofano (o con desipramina). Secondo un altro studio la presenza di sintomi atipici quali l’ipersonnia, l’aumentato bisogno di cibo (in particolare dolci, nella seconda parte della giornata) e la giovane età rappresenterebbero degli indici predittivi di efficacia della fototerapia nel SAD. Mentre si è riscontrata una minore risposta alla fototerapia nei soggetti SAD con tendenza a vissuti di inadeguatezza o con una diagnosi in Asse II (DSM IV) di disturbi di personalità.

Altri ricercatori hanno invece condotto indagini per evidenziare l’eventuale efficacia della fototerapia nella sintomatologia depressiva premestruale, con o senza carattere di stagionalità. Sono state evidenziate delle sostanziali differenze in vari assi neuroendocrini fra pazienti affette da PMDD (premestrual dysphoric disorder) ed i controlli sani con una spiccata tendenza ad un disturbo di fase nei soggetti con PMDD. Sulla base di dati relativi al ritmo del sonno, alla temperatura e ai livelli ematici di melatonina, si è ipotizzato che nei soggetti con PMDD ci poteva essere una predisposizione all’avanzamento di fase dei ritmi circadiani, per cui con la somministrazione serale di luce brillante, che ritarda il ritmo circadiano, si potrebbe riequilibrare l’alterazione del ritmo e così ripristinare l’eutimia (3).

Infine, la cronofarmacologia sta indagando sulle variazioni nella azione dei farmaci a seconda del momento della giornata (quindi del bioritmo) nel quale sono assunti. Poiché nell’arco della giornata cambiano le concentrazioni di varie sostanze nel corpo umano e cambia la secrezione di alcuni neurotrasmettitori, non può che manifestarsi una azione parzialmente diversa delle sostanze assunte con i farmaci in base alla fase dei bioritmi individuali (quotidiano, settimanale, mensile, ecc.). Di ciò già l’Ayurveda suggeriva di tener conto, ma buona parte della moderna medicina li ha sino ad ora in gran parte sottovalutati o ignorati. Ipertensione, infarto del miocardio, asma bronchiale, ulcera peptica, artrite, ipercolesterolemia, disturbi cerebrovascolari, sono tutte condizioni che potrebbero trarre beneficio da una più attenta rilevazione delle fasi dei bioritmi, e le terapie relative meglio andrebbero adattate proprio ai cicli temporali individuali. A dimostrazione indiretta di ciò sono i dati statistici che dimostrano come anche le su citate patologie abbiano manifestazioni temporali non casuali ma dipendenti da fattori ritmici ormonali, pressori, chimici, fisiologici.
Si ha quindi motivo di ritenere che maggiore attenzione verso la dimensione temporale negli studi delle neuroscienze, attraverso l’analisi delle oscillazioni, delle asincronie e degli sfasamenti possa accrescere in modo significativo l’efficacia dei risultati preventivi e terapeutici.
(Antonio Virgili è docente presso la Cattedra di Neuroscienze applicate dell’UNISED)

Note:
(1) Cioè il ritmo nel periodo di 24 ore.
(2) Cioè caratterizzati da una sola o da due diverse manifestazioni e condizioni psichiche, es.: eccitamento ed inibizione
(3) In uno studio pilota, si è notata un’efficacia decisamente maggiore dell’esposizione serale rispetto a quella mattutina in 6 donne affette da depressione premestruale.

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